Ancora oggi, percorrendo le strade e i sentieri che collegano i due versanti dei Martani, ci si può ritrovare di fronte ad una chiesa o ad un’abbazia, come quella di San Felice di Giano, costruita con materiale di spoglio romano. Molti infatti i materiali antichi riutilizzati per costruire edifici medioevali, numerosi i frammenti di laterizi, ceramiche e reperti romani che continuamente vengono alla luce durante i lavori agricoli.
Un periodo oscuro dal punto di vista delle testimonianze storiche e documentarie è quello alto medioevale, durante il quale il tratto occidentale della via Flaminia, che era utilizzato per collegare Roma con Ravenna durante il periodo bizantino, venne abbandonato con il conseguente spopolamento e decadimento del territorio martano. Poche sono, purtroppo le testimonianze di questa fase, legata alla cultura artistica del Ducato Longobardo di Spoleto e caratterizzata da un forte sincretismo culturale.
Bassorilievi e decorazioni di sapore longobardo si possono ritrovare però ancora oggi accanto a materiale romano, murati sugli edifici del territorio. Nel medioevo, la Via Flaminia Vetus fu utilizzata in alternativa alla Flaminia Nova che passava per Spoleto, da pellegrini e viandanti che trovarono in queste terre potenti insediamenti, sia Benedettini che Francescani, dalla vocazione agricola e culturale, ma anche borghi fortificati e piccole pievi adatte alla meditazione e alla preghiera.
Il Ponte del Diavolo
Tra le testimonianze dell’antico tracciato della Flaminia Vetus rimane, oggi purtroppo quasi del tutto nascosto dalla vegetazione e in stato di degrado, un ponte romano edificato per attraversare un fosso, affluente del fiume Puglia; si tratta del cosidetto Ponte del Diavolo, datato tra il II sec. a.c e l’età Augustea. Il ponte si trova in località Cavallara, nei pressi di Bastardo ed è stato citato più volte nella letteratura archeologica. E’ composto da un solo arco formato da grossi blocchi di pietra calcarea squadrata, è largo quasi quindici metri e lungo nove. Si presenta come un lungo cunicolo costruito con grossi blocchi di pietra calcarea grigio locale e travertino. L’imbocco che guarda la strada moderna è perfettamente conservato mentre, verso la campagna, l’estremità è crollata. Sotto il ponte, su uno dei due blocchi, è ancora leggibile una iscrizione “M.V.S.N C” (o forse “V.S. IVC”), di incerto significato.
Le sue caratteristiche lo avvicinano a molti altri ponti costruiti lungo la Via Flaminia, (il Ponte Fonnaja nei pressi di Massa Martana, o il ponte di San Giovanni de Butris vicino Acquasparta) come l’utilizzo del bugnato e di materiale locale, l’opera quadrata, i bordi dei blocchi con gli angoli smussati e la presenza di fori per le operazioni di sollevamento e accostamento dei blocchi.
Il suo nome, così particolare e macabro, sembra essere legato, secondo alcune credenze popolari, alla presenza del diavolo che lo avrebbe realizzato: in cambio del suo intervento, avrebbe preteso l’anima del primo essere vivente che lo avesse traversato. La leggenda, accanto ad altre curiose versioni, rimase in voga fino agli anni ’50; si narravano infatti molte storie relative ad un fantastico diavolo che appariva ogni tanto ai passanti nei pressi del ponte.
Antichi ritrovamenti
Molti i reperti che furono ritrovati nella zona, durante i lavori agricoli o le campagne di scavo. Nel 1925, per esempio, aprendo alcune forme per ulivi, lungo il tratto che da Montecchio scende all’Osteria, in località “Toccioli” vennero ritrovati un condotto in terracotta – oggi disperso -, un frammento (di circa m. 4×1) di mosaico a tessere bianche e nere di pregevole fattura, un grande dolio in terracotta che doveva servire per la distribuzione dell’ acqua e un cippo in travertino con iscrizione su entrambi i lati. Quest’ultimo riporta una dedica ai Lari (i geni protettori della famiglia e della casa) probabilmente fatta incidere da un amministratore imperiale in occasione del ritorno di un imperatore nel I o II secolo, come si evince dall’esame dei caratteri paleografici. Altri resti di costruzioni di epoca
romana sono presenti lungo la strada provinciale che porta all’ abbazia di S. Felice: si tratta probabilmente di “tombe a sacco” del I o Il secolo d.C..