Il Dossale, di grande pregio, attualmente custodito all’interno della Galleria Nazionale dell’Umbria, mostra una struttura rettangolare e si sviluppa in orizzontale secondo un modello usuale in area umbra e toscana. Lo stile e le caratteristiche lo avvicinano alla cultura artistica dello spoletino. Il paliotto di Giano, con i suoi vivaci contrasti cromatici, con l’elegante linearismo delle figure allungate e disegnate dalle linee dei contorni e dalle minute lumeggiature che definiscono anatomie e panneggi, è opera di un artista di prima qualità, erede della grande tradizione del secolo precedente, tanto dei cicli musivi della Sicilia, tanto dell’aulica tradizione “greca” espressa a Grottaferrata, quanto nelle esperienze maturate tra Roma, Tivoli e Anagni. Esperto forse di miniatura, si rifà anche al territorio umbro che offriva alla sua diretta esperienza diversi esempi.
Il paliotto, realizzato per decorare probabilmente l’altare della cripta di San Felice mostra al centro la rappresentazione del Giudizio Universale, le scene invece del martirio del Santo si trovano nel registro inferiore. Al centro, entro una mandorla, è raffigurato il Cristo in trono; ai lati, Michele e Gabriele come angeli turiferi e due schiere di Apostoli condotti dalla Vergine e da San Giovanni, nel registro mediano due schiere di Profeti, cinque per lato. In basso, sotto il trono, appare entro un cerchio l’Agnus Dei circondato dai quattro viventi dell’Apocalisse ( Angelo, Aquila, Toro e Leone) emblemi dei quattro Evangelisti. Una serie di mezze figure di angeli, ora in parte perdute, compare sul lato superiore della cornice, sei figure di santi, tre per parte, ornano lateralmente la cornice stessa, che nel lato inferiore ha perduto completamente la decorazione. Nel registro inferiore sono rappresentate quattro scene del Martirio di San Felice: San Felice è interrogato e fatto frustare, poi immerso in una caldaia bollente, esposto al fuoco su una grata e infine decapitato dal carnefice Sevibo. La leggenda è nota in quattro redazioni, di cui la più antica (IX secolo) appartiene ad un codice dell’Abbazia di Farfa a conferma del legame tra monachesimo benedettino e culto di questo vescovo martire, sul luogo della cui sepoltura, nei pressi di Giano, dovette aver luogo già tra V e VI secolo un primo insediamento monastico, e successivamente, agli inizi del XIII secolo, l’edificazione della chiesa abbaziale per la quale fu commissionato il dossale.