A MAGGIOR GLORIA DELL’OLIO E DELLA MEMORIA DI GIANO DELL’UMBRIA.
“Memorie di cucina”
di Giulio Scatolini
Questo piccolo e volutamente incompleto ricettario più che da provenienze scritte si basa su tramandi orali derivanti da racconti della mia Famiglia e di altri vecchi e/o sapienti gianesi che hanno preservato la memoria storica del cibo territoriale, coscienti che il patrimonio dei Padri resta tale, non solo con il possesso delle terre, ma anche attraverso la cultura e il ricordo “local” della lingua (il dialetto), delle feste e del cibo essendo questo , in tale passato, rigidamente diviso in “cibo del lavoro” e “cibo della festa”.
L’olio tuttavia sia nei giorni feriali che festivi mai mancava nei piatti gianesi, a testimonianza di un territorio dove tale prodotto era così presente e così importante da dover essere utilizzato per qualsiasi tipo di preparazione o condimento culinario.
Anche oggi quindi, in cui l’olio extravergine di oliva è spogliato, in modo quasi definitivo, dai suoi caratteri simbolici, religiosi e mistici e rimane “semplicemente” un alimento, esso, tuttavia, conserva a Giano dell’Umbria, qualcosa di magico e di sacrale: non a caso la cultivar che lo tipicizza si chiama, appunto … San Felice.
Frittata con i dabbi (vitabbie)
Le vitabbie, in dialetto “dabbi” sono germogli di una pianta rampicante che si trova nelle siepi insieme a rovi ed altri arbusti. La parti adatte per la frittata sono i germogli di punta della pianta raccolti freschi e teneri nella stagione primaverile.
Una curiosità: i “dabbi”, in mancanza di sigarette, o di denaro per il loro acquisto, venivano, dai gianesi, anche “fumati”, tramite “cartina” ricavata, all’occorrenza, da foglio di giornale o di quaderno vecchio.
Raccogliete e lavate, nella stagione primaverile i “dabbi”.
Sminuzzateli con le mani e fateli soffriggere in padella con olio di Giano vecchio di più di un anno.
In contemporanea sbattete le uova, aggiungendo per ognuna, un pizzico di sale .
Aggiungete i “dabbi” soffritti e amalgamate il tutto.
Versate tutto il composto in una padella di ferro unta e cuocete la frittata con uno spessore di circa 2 cm.
Mangiatela calda.
Acqua cotta
L’acqua cotta è una zuppa molto semplice che raramente viene oggi preparata.
Essendo un piatto povero era invece una volta molto diffusa nei nostri territori.
Può essere consumata sia calda che fredda.
Ingredienti: cicoria selvatica di campagna, pecorino, pane duro o abbrustolito, sale, olio di oliva.
Cuocete la cicoria in acqua salata, insieme a qualche erba aromatica, in una pigna di coccio.
In un piatto cupo ponete il pane raffermo o abbrustolito tagliato a fette sottili.
Versatevi sopra la cicoria con una parte abbondante della stessa acqua di cottura.
Condite con olio extravergine di Giano e abbondante pecorino.
Varianti moderne: la cicoria può essere sostituita dalla bieta, il pecorino dal parmigiano ; quasi d’obbligo nella rivisitazione l’ aggiunta dell’uovo.
Zuppa di cavolo
E’ un piatto completamente dimenticato.
Veniva invece, molto consumata, una volta, specialmente durante l’inverno.
Ingredienti : foglie di cavolfiore, pane raffermo o tostato, aglio, olio, sale.
Cuocete le foglie di cavolfiore in acqua salata e scolate; passate le foglie medesime in una padella insieme ad olio ed aglio.
Condite il pane abbrustolito con un filo di olio di Giano.
Immergete le fette di pane, così condite, una per una nell’acqua, di cottura del cavolfiore.
Fate in modo che le fette pur immerse non si spezzino. Disponetele poi sui singoli piatti, ricopritele con le foglie di cavolfiore soffritte e condite ancora con olio crudo e fresco di Giano.
Questa zuppa va naturalmente mangiata calda.
Pancotto
Il pancotto era il piatto “consigliato” alle donne che allattavano, ai bambini che iniziavano lo svezzamento, agli anziani che non avevano più una dentatura adatta ad una corretta masticazione.
Oggi viene invece raramente preparato se non per curiosità culinaria storica.
Ingredienti: pane raffermo, pecorino, aglio, olio, sale.
Tagliate il pane raffermo a fette o a pezzi; mettetelo in una pigna di coccio insieme ad acqua salata e a due spicchi d’aglio. Fate bollire a fuoco lento per mezz’ora.
Servite caldo, dopo avere tolto l’aglio, condendo con abbondante olio extravergine di Giano e pecorino.
Esiste una variante ricca che consta dell’aggiunta di un uovo battuto poco prima di essere servito.
Anche il pecorino può essere sostituito nella variante moderna dal parmigiano.
Frascarelli
Questo piatto ha avuto notevole notorietà sino agli anni cinquanta in quanto veniva consigliato in modo sistematico, in tutte le stagioni, alle donne, nel loro periodo di allattamento, ai propri neonati.
Oggi il piatto è andato quasi completamente dimenticato e solo raramente viene riproposto in modo. Rivisitato.
Ingredienti: un uovo, acqua, farina, sale, olio, formaggio pecorino.
Disponete sulla “spianatora” (tavola di legno rettangolare per fare la pasta) un leggero strato di farina.
Sbattete l’uovo salandolo e diluendolo con acqua. Versate questo liquido amalgamato, con le mani o con una forchetta, a piccole gocce sulla farina. Impastate l’uovo e la farina con la punta delle dita, muovendo le mani in senso rotatorio sino ad ottenere granuli di pasta uniformi ed arrotondati .
Eliminate l’eventuale eccesso di farina passando i frascarelli al setaccio prima di cuocerli in acqua salata da dove vanno tolti al primo bollore.
Serviteli conditi con olio extravergine di oliva fresco di Giano e con formaggio pecorino.
Varianti. Nelle rivisitazioni il brodo di cottura può essere di carne o di “battuto” (lardo con aggiunta di qualche erba aromatica) leggermente soffritto e diluito con acqua calda. Qualche volta i frascarelli vengono anche insaporiti con un cucchiaio di salsa di pomodoro.
Strangozzi di magro
E’ questa una delle poche ricette arrivate quasi inalterate dalla sua invenzione sino ai nostri giorni.
E’ un piatto che è ancora preparato spesso sia nelle famiglie del territorio gianese e spoletino , sia nei ristoranti di tale comprensorio.
Ingredienti: farina, acqua, sale, aglio, olio, pepe, pomodoro, prezzemolo.
Impastate sulla spianatoia farina, acqua e sale; lavorate e amalgamate il tutto a lungo sino a che l’impasto diventi morbido e liscio, tale da potere esser steso in una sfoglia piuttosto spessa che essere lasciata ad asciugare per circa mezz’ora.
Cospargete la sfoglia di un leggero velo di farina e arrotolatela e tagliatela in strisce non troppo sottili.
Il detto della ricetta, così recita: “l’impasto deve essere preparato a “culu mossu” e lo strangozzo deve essere “ertu de pasta” e ”finu de curtellu…”
In una pentola che la tradizione vuole sia di coccio si prepara il sugo di “magro” (povero):
si fa soffriggere in olio di Giano, vecchio di un anno, l’aglio sino a che non diventa dorato; si aggiunge quindi il pomodoro fresco a pezzi o passato, il sale e il pepe . Si lascia bollire lentamente tutto per mezz’ora e solo alla fine si aggiunge il prezzemolo tritato.
Si cuociono gli strangozzi in abbondante acqua salata e si condiscono a caldo, lasciandoli riposare qualche minuto con il sugo, che deve essere ben assorbito, prima di servirli.
Esistono anche varianti più moderne in cui gli strangozzi sono fatti con le uova e il sugo è impreziosito da funghi porcini, asparagi, tartufi.
Bracalaccio
E’ la più semplice e povera della famiglia delle frittella essendo costituita da un uovo, farina, sale, acqua.
Si prepara un impasto piuttosto fluido (sbracato? forse da qui l’origine del nome), fatto da farina, sale, acqua a piacere e un uovo intero battuto.
In una padella larga di ferro si porta ad ebollizione un cucchiaio di olio di Giano dell’anno passato versandovi sopra un mestolo di impasto.
Il bracalaccio ben rosolato dalle due parti, viene servito ancora caldo con o senza zucchero.
Cresciola
E’ una frittella fatta con pasta di pane che veniva mangiata tradizionalmente a colazione.
Ingredienti: farina, acqua, lievito, olio, sale.
Aggiungete sulla spianatoia alla farina il lievito madre di pane, sciolto in una tazza di acqua tiepida , il sale e un po’ di olio nuovo di Giano .
Lavorate e amalgamate bene l’impasto e lasciatelo lievitare per circa un’ora.
Spianate delle singole pizze di mezzo centimetro di spessore e di circonferenza leggermente inferiore a quello della padella in cui si friggono, utilizzando olio dell’anno passato di Giano.
A fine cottura grazie al lievito presente la frittella crescerà (da qui cresciola) in diametro sino ai bordi della padella e sarà consistente e croccante.
Anche la cresciola va servita calda condita con sale, ma, volendo, pure con lo zucchero.
Per chiudere!
Non poteva mancare, anche se di solito è in ouverture, la ricetta della bruschetta.
Tuttavia, per stemperare l’alone di esperto, inserisco un richiamo ironico che naturalmente nulla ha di storico e di memoria, se non come tributo ad un importante artista di origine folignate, Umberto Raponi, che negli anni, ha realizzato alcuni interessanti lavori grafici e poetici su Giano dell’Umbria e il suo grande olio di San Felice.
Bruschetta mistica alla San Felice
E’una ricetta che prende, appunto, spunto dalla “Bruschetta mistica” del Maestro Umberto Raponi (vedi bruschettario “La bruschetta del fachiro laureato”; 1996 Perugia), ma che presenta alcune piccole varianti sulla cultivar dell’olio da utilizzare e sulla tipologia dei legni utili per preparare la brace.
Tagliate una fetta di due centimetri di pane casareccio leggermente raffermo.
Ponetela su una graticola poggiata sopra una brace fatta da legno di quercia e di ginepro dei Monti Martani.
Quando la fetta avrà preso un bel colore dorato, incidete su di essa, con un coltello, il segno della Croce.
Condite con giusto sale e poi con olio nuovo d’annata, fatto con prevalenza di cultivar San Felice, avendo cura di versare l’extravergine in modo più generoso e copioso lungo i segni della Croce tracciata.
Stringete leggermente la bruschetta con le mani, per meglio facilitare l’irroramento, interno alla fetta, dell’olio extravergine di Giano.
Mangiatela velocemente , prima che si raffreddi, stando affacciati ad una finestra, con lo sguardo rivolto verso l’Abazia di San Felice, nell’ora dell’Avemaria.