Di particolare interesse, fuori dalle mura, la chiesa e il convento di San Francesco, costruito, nella seconda metà del XIII in corrispondenza di una delle porte di accesso al centro cittadino, è stato danneggiato con il terremoto del 1997 e restituito ai cittadini nel 2009, dopo un lungo lavoro di restauro. Il complesso di Giano può essere considerato fra le prime costruzioni francescane in Umbria, e non è da escludere che l’edificio fosse stato voluto proprio dal santo. Due figure di eminenti francescani, infatti, avevano origini gianesi: Frate Giordano e Frate Bartolomeo: il primo, ricevuto nell’ordine forse dallo stesso Francesco, fu un personaggio chiave nell’apostolato in Germania, autore della Cronaca, una delle fonti più importanti per la storia dell’ordine francescano. Il secondo, letterato e grande predicatore si distinse per un’ importante missione evangelizzatrice in Oriente. Tutta la struttura è documentata, quindi, già nel XIII; il romitaggio apparteneva alla “Custodia Vallis”, cioè alla Custodia della Valle Spoletina, che faceva parte della Provincia di San Francesco o dell’ Umbria, una delle più importanti. Nel 1350 il convento fu assegnato a Frà Gentile da Spoleto, e nel 1373 al Beato Paoluccio Trinci da Foligno, fra i personaggi chiave dell’Osservanza francescana.
La chiesa venne visitata da molti pellegrini che passavano in queste zone e che volevano ottenere l’indulgenza plenaria; infatti fin dal 1291 vennero concesse indulgenze a chi avesse visitato il convento. L’esterno, in pietra rosata, con copertura a due spioventi, presenta una facciata sopraelevata rispetto all’originale, un oculo tamponato e un portale a rincasso. La sobrietà è l’elemento dominante e conferma l’ideale architettonico tipico delle chiese francescane. Sulla destra si notano i locali dell’ex-convento, tra i quali, ben conservato è il refettorio, oggi utilizzato come sala eventi. L’interno della chiesa, ad una navata, presenta rifacimenti sei-settecenteschi; il rigore del primitivo impianto francescano fu alterato, infatti, nel XVII secolo, quando si intervenne con l’innalzamento dei muri perimetrali, il rifacimento del tetto, e si rinnovò l’ arredo della chiesa. Le pareti sono decorate da sei altari lignei del XVIII secolo, con tele seicentesche, abbelliti da paliotti settecenteschi in scagliola, dipinti a motivi floreali. L’altare maggiore funge da sipario ligneo e nasconde l’originaria abside gotica della chiesa decorata con affreschi del XIV secolo di scuola probabilmente spoletina. Le pitture però più importanti, riscoperte sotto lo scialbo nel XX secolo, si trovano nella cappella del Crocifisso, a sinistra dell’altare, con il ciclo di affreschi che racconta la Passione di Cristo e la Dormitio Virginis, attribuito al pittore folignate Giovanni di Corraduccio (XIV secolo).
Fra la prima e la seconda cerchia di mura erano ubicati il Reclusorio delle Agostiniane, l’Ospedale dei pellegrini e la diruta Chiesa di S. Biagio. Fuori la cinta difensiva, invece, sono le chiese di S. Biagio (1680), di S. Francesco (XIII sec.), con annesso ex convento dei Francescani, e quella dissacrata dell’Annunziata.
I Paliotti in scagliola
Si tratta di un tipo di manufatti, particolarmente interessanti e alquanto rari in Umbria. Realizzati con un impasto “speciale: ottenuto da un minerale – la selenite- che allo stato puro si presenta sotto forma di lamelle o scaglie, (da qui il nome). Definita “il marmo dei poveri”, veniva usata per simulare la tarsia marmorea: era usata soprattutto per la realizzazione di paliotti da porre sugli altari delle chiese, in quanto il risultato era di grande effetto scenico. Moltissimi sono gli spunti creativi in questi lavori, come dimostra anche il caso di Giano: la varietà e l’accostamento dei colori, così come il tripudio di dettagli (arabeschi, fiori, e uccellini di ogni tipo) contribuivano al trionfo dell’arte cristiana.