Giano: L’antico dio degli iniziGiano è una delle più antiche divinità romane; secondo la leggenda è il mitico sovrano dell’età dell’oro, portatore della civiltà e delle leggi fra i popoli primitivi del Lazio. Come rivela il nome, è protettore degli inizi e dei passaggi, nelle attività umane e in quelle naturali. Nelle preghiere è invocato al primo posto, e a lui è dedicato il primo mese dell’anno. Le porte del suo tempio, nel Foro Romano, erano chiuse nei periodi di pace. I Romani assunsero quasi tutte le loro divinità dalla tradizione greca, a volte modificando figure a loro già familiari, a volte introducendone di nuove. La sua dimora era il colle del Gianicolo, che in latino significa appunto “luogo abitato da Giano”. Da qui il dio, che secondo altre versioni era un antichissimo sovrano divinizzato dopo la morte, avrebbe regnato sui primitivi abitanti del Lazio insegnando loro le arti della navigazione e della coltivazione della terra, nonché i costumi del vivere civile e il rispetto della legge. Nel 27 a.C. l’imperatore Ottaviano Augusto, sconfitti i nemici interni ed esterni, celebra finalmente il ritorno della pace a Roma. Dopo quasi cento anni di guerre ininterrotte, nel tempio dedicato a Giano ‒ situato nel Foro Romano ‒ vengono chiuse le porte d’ingresso: un evento straordinario che in precedenza si era verificato solo in rarissime occasioni. Perché? Come suggerisce il nome latino, Giano (Ianus) è il dio del passaggio (che si compie, in origine, attraverso una porta, in latino ianua); in particolare è il dio degli inizi di un’attività umana o naturale, oppure di un periodo. Non a caso era rappresentato come un busto con due volti (erma bifronte) che guardano in direzioni opposte: l’inizio e la fine, l’entrata e l’uscita, l’interno e l’esterno. Per i Romani, pertanto, la chiusura delle porte del Tempio di Giano aveva un valore simbolico: iniziava una nuova età di pace. In molte altre occasioni Giano, come dio protettore del passaggio e degli inizi, veniva invocato e celebrato, soprattutto a livello popolare: per la semina e le attività agricole, per gli affari pubblici e i commerci privati. Era ricordato in ogni preghiera al primo posto. A Giano era dedicato non solo il primo giorno di ogni mese, ma addirittura il primo mese dell’anno: gennaio (ianuarius).La sua festa era celebrata a metà agosto, insieme a quella di Portuno, divinità protettrice dei porti, dunque dell’uscita e dell’ingresso marittimi e fluviali. Il culto – Tutti gli incroci delle strade erano sacri a Giano e lì si offrivano al dio sacrifici e tavolette votive. Il tempio più importante era tuttavia quello nel Foro Romano, che la tradizione faceva risalire addirittura al secondo leggendario re di Roma, Numa Pompilio. Un rito particolarmente significativo in suo onore era il seguente: i giovani romani, in segno di purificazione e di passaggio alla maturità, dovevano passare sotto un trave fissato a bassa altezza fra due tempietti, sacri l’uno a Giano e l’altro a Giunone. Forse perché Giano era protettore dell’inizio di ogni attività, dunque anche di quelle mercantili, tradizionalmente svalutate o criticate dalla morale antica, e persino di quelle illecite, l’immagine simbolica del volto bifronte, originariamente propria di Giano, e il concetto di bifrontismo passarono a indicare un atteggiamento ambiguo o opportunistico, una persona pronta a mutare opinione a seconda della convenienza. Una via di briganti…Il territorio di Giano, soprattutto la valle del fiume Puglia, attraversata in parte dalla via Flaminia, era zona di transito di ricchi mercanti. Proprio per questo, molti briganti si appostavano lungo la strada per derubare i carri e le carrozze che portavano con sé un ricco carico. Una leggenda narra che nei pressi dell’Osteria vecchia di Montecchio si trovasse a passare una carrozza su cui viaggiava una nobile donna che aveva con sè una cassa piena d’oro e di brillanti. Vedendo sopraggiungere i briganti, i soldati che scortavano la donna nascosero il prezioso forziere per sottrarlo ai malviventi. Si scatenò una lotta tra i briganti ed i soldati, che ebbero la peggio. Episodi di questo tipo erano frequenti, soprattutto durante il dominio pontificio. Nel 1800 furono molti i briganti che con le loro avventure segnarono l’immaginario degli abitanti del nostro territorio. Uno dei più famosi era Nazareno Guglielmi detto “Cinicchia”, la cui fama era così diffusa che gli fù dedicata persino una ballata, si ricorda però anche Giuseppe Sabbati, soprannominato, per il suo aspetto terribile, la “Strega”. Gli statuti comunaliQuasi tutti i castelli del territorio di Giano dell’Umbria, in periodo differenti, si sono dotati di uno Statuto Comunale: significativa testimonianza di autonomia della vita sociale e desiderio di regolamentare le comunità. Gli statuti, conservati oggi presso l’Archivio di Stato di Spoleto, redatti in latino e spesso tradotti in un secondo tempo in volgare, contenevano norme, disposizioni, divieti, sanzioni finalizzate a garantire il benessere e la qualità della vita di queste piccole comunità. Dalla lettura di questo corpus di leggi, documenti fondamentali per conoscere la società dell’epoca, emerge un’economia a prevalenza agricola e pastorale, che giustifica quindi l’attenzione all’interno degli statuti per le risorse che venivano dalla terra e la politica di salvaguardia dei prodotti e dei terreni. Per lungo tempo, infatti, la vita quotidiana di questi castelli fu scandita dalla stagionalità delle colture e da un rapporto ancestrale con la terra, fatto di norme e rituali. Gli statuti, quindi oltre all’aspetto socio-economico che permettono di ricostruire, sono strumenti importanti dal punto di vista pedagogico perché mostrano l’attenzione e la tutela verso quelli che erano beni comuni: le fonti pubbliche, i boschi, gli edifici; accanto alla formazione di questa sensibilità sociale, che mirava anche a tutelare i più deboli, troviamo la forte riprovazione per l’usura, per la bestemmia, per gli insulti e per il mancato rispetto delle festività. Sono stati ritrovati e studiati meticolosamente lo Statuto di Giano, Castagnola, Montecchio e Morcicchia- Moriano. Di quest’ultimo, per esempio, redatto su pergamena in lingua latina al tempo di Papa Leone X, nel XVI sec., possediamo il testo volgare redatto nel XVII sec.: si tratta di uno statuto di natura rurale ed è suddiviso come segue: le Tavole, il Libro del Civile, il libro dei Malefitti, quello degli Straordinari e dei Dannidati. Dallo Statuto sappiamo anche come era amministrato il Comune; aveva un podestà che durava in carica 6 mesi, e che non poteva assentarsi più di 3 mesi dal castello. Alla fine del suo mandato era controllato da un scindico, e in caso di frode doveva pagare di 100 soldi di pena. Insieme ai massari, uno per Morcicchia e l’altro per Moriano, il podestà era responsabile della gestione economica e della tutela di tutti i beni. Doveva svolgere anche la mansione di notaio e cancelliere. C’erano poi i massari che potevano convocare l’arenga, quest’ultima era composta da “un huomo per foco” e si riuniva, mediante convocazione enunciata dal balio, nel Palazzo della comunità. All’arenga non potevano partecipare i minori di 16 anni, né i forestieri. Alle dipendenze del podestà e dei massari erano: il camerlengo, responsabile della custodia dei pegni e del denaro, il balio, che doveva leggere ad alta voce i bandi, ed eseguire i pignoramenti; l’ambasciatore e gli stimatori che, per esempio, dovevano valutare l’importo dei beni mobili ed immobili. UN LUOGO MIRACOLOSO: IL SANTUARIO DELLA MADONNA DEL FOSCOIl Santuario della Madonna del Fosco sorge tra Castagnola e l’Abbazia di San Felice, immerso in un luogo “fosco”, scuro come ci richiama il nome, è testimonianza della forte devozione popolare e del connubio tra natura e spiritualità. La sua costruzione si lega ad miracolo avvenuto nel XV sec.: si racconta che l’ultima domenica di giugno del 1412, la Madonna apparve ad un giovane pastore, durante una terribile pestilenza che si era abbattuta sul castello di Castagnola. La Madonna, chiedeva al fanciullo di far edificare dagli abitanti del castello, una piccola cappella, proprio in quel luogo, dedicata alla Vergine. Per dare veridicità all’episodio, la Madonna impose le sue mani sulla fronte del fanciullo, lasciando il segno della sua apparizione; ancora oggi si può vedere l’episodio avvenuto all’epoca, raffigurato nell’affresco quattrocentesco custodito all’interno della chiesa, opera probabilmente dal pittore eugubino Ottaviano Nelli. La devozione dei fedeli, sempre più forte richiese però al posto della piccola edicola una chiesa più grande, che fu poi restaurata ed ampliata più volte. La struttura attuale risale al 1800, il santuario infatti risultò ancora insufficiente e nel 1854 fu posta la prima pietra dell’attuale chiesa. La devozione mariana in queste zone è ancora molto viva, particolarmente suggestive le processioni che vengono organizzate, le domeniche di maggio dagli abitanti dei borghi limitrofi. Il canto e la preghiera accompagnano le statue dei Santi patroni e di Maria dai vari castelli al Santuario. La chiesa è a tre navate; nell’interno è conservato il primitivo affresco, recentemente restaurato: la Vergine in piedi, che pone le mani sul capo di un fanciullo genuflesso, posto a destra e un angelo sulla sinistra, che reca in mano un giglio. L’affresco è racchiuso in un altare assai ricco, donato da Decio Ancaiani di Spoleto. E’ meta di pellegrinaggi da Giano e da paesi limitrofi nelle domeniche di maggio. La chiesa presenta una semplice facciata neoclassica scandita da lesene e marcapiano; l’interno, frutto di rifacimenti, conserva oltre all’immagine sacra, altari in legno barocchi provenienti dalla chiesa di San Felice. LA LEGGENDA DELLA CERQUA DURMJOSALa leggenda narra di un antico albero di quercia presso cui le donne del territorio che volevano avere dei figli dovevano recarsi per prendere i loro bambini. Interessante è il riferimento ai culti arborei della quercia e ai riti propiziatori della fertilità ad essa legati, diffusi in epoca preromana e romana. LA LEGGENDA DEL LAGO MORTOSecondo la leggenda in un’antichità remota, sui monti, viveva un popolo dedito alla pastorizia, il cui principe sarebbe affogato in un lago posto nei pressi dell’attuale Monte Martano. Per recuperare il corpo del figlio, la regina avrebbe ordinato ai pastori di tosare tutte le pecore, prosciugando con la lana il lago. Il toponimo Lago Morto, attestato in alcuni documenti antichi, è tuttora in uso con riferimento ad una dolina carsica e la leggenda ad esso legata rimanda alla scoperta sui Monti Martani di siti votivi risalenti all’età del bronzo. I Monti Martani facevano infatti parte di un antico percorso della transumanza, come attestano molti ritrovamenti archeologici. TESORI NASCOSTIUna delle credenze popolari più diffuse nel territorio di Giano è quella relativa ai tesori nascosti di cui il più famoso è certamente quello della Torre della Morcicchia o Torre di Clarignano.In un territorio così ricco di storia erano molte le località in cui si credeva fossero nascosti preziosi resti di un antico passato. I racconti tramandano le avventure dei cercatori di tesori e fanno riferimento a maledizioni,ad inspiegabili fenomeni atmosferici e alla scoperta di segrete camere sotterranee. LA GROTTA DELLE STREGHELa Grotta delle Streghe si trova vicino alla frazione di Morcicchia, in un luogo impervio e ancora oggi selvaggio, affacciata su un dirupo. Il nome di questo luogo è legato alla figura leggendaria del bandito Giuseppe Sabbati soprannominato “la strega”, vissuto nel 1800, che lo scelse come nascondiglio per il bottino delle sue rapine. Il brigantaggio era infatti diffuso nella zona fin dall’antichità poichè il territorio di Giano, soprattutto nella valle del fiume Puglia, attraversata in parte dalla via Flaminia era zona di transito di ricchi mercanti. L’ACQUA SANTAGiano dell’Umbria nel ‘700 era famosa per le sue acque salubri, come attestano alcuni documenti. Su consiglio di illustri medici, molti forestieri vi si recavano per curarsi con le acque di una fonte chiamata dell’Acqua Santa. La fonte, di cui restano poche tracce si trovava in località Sant’Andrea. Con l’avvento del cristianesimo gli antichi luoghi di culto delle acque furono spesso rinominati con il nome di questo santo e non è da escludere che l’Acqua Santa fosse una sacra fonte già in un’antichità molto remota. Altra fonte di cui resta un interessante toponimo è quella dell’ACQUA TRAVAGLIA, le cui acque avrebbero invece un potere negativo.
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