Frà Giordano da Giano
Frà Giordano fu sicuramente uno dei francescani più illustri dei primordi, era poco più giovane di San Francesco, essendo nato nell’ultimo decennio del sec. XII, e secondo i documenti fu accettato nell’ordine proprio da lui.
Nel 1220 iniziò il suo viaggio per diffondere il francescanesimo in Germania con Fra’ Simone da Collazzone ed altri frati.
Numerose le tappe del suo viaggio “spirituale” che toccano diversi luoghi della Germania. “Dopo brevi stazioni a Bolzano e Bressanone, inoltratisi verso i valichi alpini, Giordano e i suoi compagni raggiunsero la città di Matrei, riuscirono a rifocillarsi grazie alla generosità di alcuni ospiti e da qui raggiunsero Augusta, dove furono accolti con grande benevolenza dal vescovo e dal suo vicario, che li alloggiarono presso la curia: nella città bavarese, il 16 ottobre, i trentun frati della missione si radunarono per il primo capitolo dopo il loro ingresso in Germania, e in quella sede frate Cesario poté così destinarli presso varie città tedesche: Giovanni da Pian del Carpine e frate Barnaba come predicatori a Würzburg, da dove poi si recarono a Magonza, Worms, Spira, Strasburgo e Colonia. Frate Giordano con due altri compagni, Abramo e Costantino, fu assegnato a Salisburgo, dove fu accolto fraternamente dal locale arcivescovo Eberardo II di Regensberg.
Giordano fu poi ordinato sacerdote da Cesario e per tutta quell’estate fu il solo frate che celebrò, alternatamente, nelle città di Worms, Magonza e Spira, dove, in quel periodo medesimo, fu nominato custode Tommaso da Celano. Lo ritroviamo poi a Magonza, nel 1224, inviato dal ministro provinciale con altri sette frati affinché reperisse nuove case per l’auspicato insediamento in Turingia, dopo il successo della missione in Sassonia.”
Oltre quindi a lasciare segno tangibile della sua presenza in terra tedesca, assumendo ruoli di primo ordine nel contesto religioso, entrò in contatto con la gente e la cultura del luogo, cercando di diffondere una fede fondata sui principi avviati qualche anno prima dal “poverello di Assisi.” Fondamentale, quindi, è stato il suo ruolo nella diffusione di una cultura religiosa, maturata e sviluppatasi nella nostra regione e frutto del contesto nel quale era vissuto San Francesco. E’ autore di una Chronica che rappresenta una delle più antiche e cospicue fonti per la storia francescana.
Da questa Cronaca conosciamo le vicende degli inizi del francescanesimo, dell’insediamento e dell’espansione dello stesso in terra germanica. Questa la descrizione che Fra’ Baldovino, lascia di lui: « Fu questo frate Giordano uno dei primi frati mandati da San Francesco in Germania, uomo scuro d’aspetto, piccoletto di statura, di animo giocondo, affabile di carattere e pronto ad ogni buona azione, uomo di grande obbedienza, il quale nel frate minore, senza obbedienza, non considerava venerabile alcun segno di santità ».
Per conoscere le fattezze di Frà Giordano basta osservare all’interno della chiesa di San Francesco il terzo dipinto sulla parete sinistra, opera seicentesca del pittore bolognese Francesco Providoni, raffigurante la Madonna del Rosario. Ai piedi della Vergine e dei Santi Domenicani, troviamo un uomo dal volto semplice, vestito poveramente, con il saio tipico dei francescani, intento a scrivere su un grosso libro rosso…si tratta proprio di Frà Giordano, “immortalato” come in una fotografia, nell’atto di scrivere l’opera per la quale divenne famoso: la Chronica.
La Chronica
Nel 1262, presso Halbertstadt, in Sassonia (Germania), si tenne il Capitolo provinciale dell’Ordine dei frati minori, al quale si deve questa “Cronaca”. In quella circostanza, infatti, l’anziano frate Giordano da Giano ricevette l’incarico di porre per scritto o, meglio di dettare a frate Baldovino di Brandeburgo, la storia degli avvenimenti che avevano portato all’insediamento e all’espansione dell’Ordine in terra tedesca, per poter così conservare quei ricordi che egli tante volte aveva narrato a voce ai confratelli più giovani. Le vicende del suo “racconto” hanno inizio dall’anno 1209 e terminano nel 1262, concentrandosi particolarmente sugli avvenimenti del ventennio 1219-1239, con abbondanti particolari sulle vicende dei primi frati giunti in Germania e, in modo speciale, sullo sviluppo dell’Ordine nella provincia di Sassonia, dove egli fu anche vicario. Benché conoscesse gli scritti di Tommaso da Celano e Giuliano da Spira, Giordano preferì seguire il filo dei racconti come li aveva conservati nella sua memoria.
La “Cronaca” di fra Giordano da Giano offre pagine fra le più fresche e gustose per conoscere da vicino il clima nuovo, sereno, gioioso ed eroico della prima generazione francescana.
La Beata Chiarella da Giano
Chiarella di Giacobello nacque a Giano dell’Umbria intorno al 1281. Dopo aver vissuto molti anni nel monastero di Montefalco, fu inviata a Giano per fondare il Monastero di Santa Maria Maddalena, di cui divenne badessa. Nel 1345, dopo solo due anni dalla fondazione del convento, Chiarella morì; poco dopo, per mancanza di mezzi finanziari il convento stesso dovette chiudere e le suore vennero trasferite a Spello. Il suo corpo venne collocato dai monaci Agostiniani di Montefalco nella chiesa di Sant’Agostino, insieme al corpo della Beata Illuminata da Montefalco, sua compagna. Nel 1724 i resti delle due monache furono vestiti e nel 1882 vennero collocati in un urna di legno e vetro.
Frà Bartolomeo da Giano
Non è conosciuto né l’anno né il luogo di nascita del frate Bartolomeo; si crede che egli sia nato probabilmente alla fine del sec. XIV a Giano dell’Umbria, poiché il suo nome nelle fonti è sempre accompagnato dalla specificazione “de Iano”; è conosciuto anche come Bartolomeo “de Apone”. Entrato nell’Ordine dei frati minori conventuali, è citato da Bernardino dell’Aquila tra gli uomini famosi della provincia di S. Francesco; nel 1402 passò a far parte degli osservanti sull’esempio di San Bernardino da Siena, del quale, come riferiscono le fonti, divenne “socius fidelissimus”. Maestro di teologia e dotto oratore, fu spesso a Foligno, dove tenne prediche in cui raccomandava soprattutto la pace fra gli uomini e la modestia cristiana. Bartolomeo fu più volte a Foligno, come ci dicono varie fonti: il 15 maggio del 1435, ricevette in dono da Corrado Trinci per i suoi confratelli del convento di S. Bartolomeo di Marano, presso la città, un codice pergamenaceo dei Libri Sententiarum di Pietro Lombardo. Nell’esercizio del suo ministero visitò l’Italia nonché gran parte della Grecia e del vicino Oriente. Prescelto nel 1431 per ordine di papa Eugenio IV insieme ad altri cinque frati (tra cui Alberto di Sarteano e Giovanni da Capistrano), fu inviato nel 1435 a Costantinopoli presso l’imperatore Giovanni VIII Paleologo; aveva, tra l’altro, il delicato compito di favorire un’intesa con i cristiani dissidenti, preparando così implicitamente il terreno favorevole ad una loro partecipazione al XVII concilio ecumenico. Secondo alcune testimonianze contemporanee, Bartolomeo svolse la sua opera con successo, grazie anche alla sua eloquenza ed erudizione. Fu accettato dall’imperatore e dal patriarca Giuseppe II e riuscì a persuadere entrambi a partecipare al concilio. Tornato in Oriente, dove rimase almeno sino al 1445, costruì un convento francescano a Costantinopoli. Nel 1444, insieme a Ludovico da Siena, ricevette dal pontefice Eugenio IV la nomina a vicario del ministro generale dell’Ordine con piena potestà nella provincia d’Oriente. Successivamente non si hanno più notizie del frate, probabilmente però trascorse gli ultimi anni della sua lunga vita nel convento di San Francesco del Monte a Perugia, dedicandosi soprattutto allo studio. Lo stesso anno della morte, avvenuta il 12 agosto del 1483 nel convento stesso di San Francesco del Monte Bartolomeo sarebbe stato nominato vicario della provincia di S. Francesco. E’ autore, probabilmente di una Epistola de crudelitate Turcoru’m scritta da Costantinopoli in data 12 dicembre 1438 e indirizzata ad Alberto di Sarteano: interessante e realistica testimonianza delle condizioni dei cristiani nell’Oriente invaso dai Turchi.
Domenico Mattei
Di antica casata benestante di Montecchio, aveva la casa appena fuori le mura del castello lungo la strada della Mulinetta. Stimato dai suoi concittadini per la generosità e l’attaccamento al proprio paese, fu nominato primo sindaco post-unitario del Comune di Giano per un decennio. Intervenne anche con mezzi propri per i lavori di risarcimento del castello di Montecchio, promosse il ripristino dell’antica via Flaminia dal Bastardo e i lavori di costruzione del nuovo cimitero. Indisse la fiera nel giorno 26 Agosto e promosse l’istituzione di un servizio postale. Profondo conoscitore delle forme di proprietà collettiva si fece parte diligente per l’istituzione della Comunanza Agraria sui terreni agricoli e boschivi di antica tradizione locale. Riposa nel cimitero di Montecchio nella tomba di famiglia che, essendo estinta, viene accudita dall’attuale Università Agraria riconoscente
Basilio Pompilj (Cardinale, 1858 – 1931)
Nacque a Spoleto il 16 aprile 1858, molti biografi dell’illustre personaggio dicono che sia spoletino di nascita e di famiglia, invece molto probabilmente la sua famiglia era originaria di Villa Macciano una piccola località nel Comune di Giano dell’Umbria, ed essendo una famiglia benestante aveva acquistato una casa a Spoleto. I genitori quindi si trasferirono a Spoleto in occasione della nascita del loro figlio.
Basilio fece i propri studi a Spoleto; si trasferì poi a Roma ed entrò nel Pontifico Seminario Vaticano. Nel 1880 si laureò in teologia e diritto canonico e nello stesso anno fu ordinato sacerdote nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Era un uomo colto, ma fu sempre legato alle sue origini umbre e come diceva lui stesso si sentiva pur sempre un pò “campagnolo” in mezzo a raffinati diplomatici. Abitò fino al 1909 in via del Colosseo ed era solito celebrare messa nella chiesa di Santa Maria di Loreto al Foro Traiano. Ottenne vari titoli e incarichi: tra questi si ricorda la nomina a Segretario della Sacra Congregazione del Concilio; nel concistoro del 27 novembre 1911 Papa Pio X lo elevò al rango di cardinale; poco dopo nel 1913 venne invece nominato Vicario generale e promosso all’Ordine dei Cardinali preti. Sempre molto devoto alla Madonna decise di scegliere la chiesa di S. Maria in Aracoeli. Nel 1914 fu nominato addirittura Vescovo di Roma, dopo la morte del cardinale Pietro Respighi. Partecipò al conclave del 1914 che elesse Benedetto XV e a quello del 1922 che elesse Pio XI.
Si racconta che nel conclave del 1922 i cardinali lo elessero pontefice, ma il porporato decise di non accettare l suprema nomina ecclesiastica. Purtroppo venne colpito da una malattia incurabile e morì il 5 maggio 1931 all’età di 73 anni nella clinica delle suore inglesi di Santo Stefano Rotondo, assistito da vari ecclesiastici e dal fratello. Il suo corpo fu esposto nel Palazzo del Vicariato e venne visitato da una moltitudine di persone. Inizialmente fu sepolto al cimitero del Verano, ma dopo due anni, il 18 dicembre 1933, le sue spoglie furono trasferite nella Cattedrale di Spoleto, sua città nativa, e dopo un solenne pontificale funebre furono raccolte in un monumento sepolcrale fatto erigere dalla famiglia Pompilj. Nonostante i prestigiosi incarichi, rimase una persona sempre molto umile, e di bontà d’animo, rifiutando spesso i privilegi dei quali un uomo di chiesa poteva godere. Ci raccontano le fonti che preferiva andare a piedi, invece che con l’automobile, vestito da semplice prete; limitava il più possibile le sue spese e devolveva ai poveri i suoi averi e quando lavorava sedeva ad una poltrona spelacchiata e mezza sfondata a cui era affezionatissimo. Fu molto legato a Giano dell’Umbria, nella cui frazione di Macciano viveva il fratello e quando nel periodo estivo si ritirava in queste zone amava trascorrere le giornate di riposo facendo lunghe passeggiate ed intrattenendosi con gli abitanti. Mostrò l’amore per la sua terra natale partecipando anche economicamente al restauro della chiesa di San Michele Arcangelo di Giano e donando uno stabile per l’apertura della Casa delle Adoratrici de Preziosissimo Sangue. Oggi, sulla facciata dell’immobile presso Macciano, che si presenta ancora come una pregievole residenza di campagna, è visibile lo stemma della famiglia Pompili, i cui discendenti ne conservano ancora la proprietà. Nella Sala Consiliare del Palazzo Comunale di Giano invece è esposto un grande quadro che rappresenta l’illustre conterraneo, commissionato dal Comune poco dopo la sua morte.
ALTRI PERSONAGGI DI INTERESSE LOCALE
San Gaspare del Bufalo ( Roma 1786 -1837)
Nacque a Roma il 6 gennaio 1786 (per tale ragione gli furono dati, dalla madre, i nomi dei Tre Magi: Gaspare, Baldassare, Melchiorre). Crebbe in una famiglia un tempo benestante ma poi decaduta. Suo padre Antonio era cuoco dei Principi Altieri, e sua madre Annunziata Quartieroni si occupava della famiglia. Dotato di intensi sentimenti religiosi fin dalla primissima età, completò gli studi al Collegio Romano indossando l’abito talare nel 1798 per iniziare ad organizzare opere di assistenza spirituale e materiale a favore dei più bisognosi, contribuendo, tra l’altro, alla rinascita dell’Opera di San Galla, di cui divenne poi direttore nel 1806. Ordinato sacerdote il 31 luglio 1808, intensificò l’apostolato a Roma fondando il primo oratorio in Santa Maria in Pincis e in Campo Vaccino (come veniva chiamato al suo tempo il Foro romano). Fra il 1809 ed 1810, dopo l’occupazione di Roma da parte delle truppe francesi di Napoleone Bonaparte, Gaspare del Bufalo – fedele a Papa Pio VII e alla Chiesa romana – rifiutò di prestare giuramento di fedeltà all’Imperatore (Non debbo, non posso, non voglio, disse laconicamente). Seguì la sorte del suo pontefice e fu costretto all’esilio dapprima a Piacenza e poi imprigionato a Bologna, Imola e Lugo. Fece ritorno a Roma solo dopo quattro anni. Nel 1834, affiancò alla sua Congregazione – assieme a Maria de Mattias, ora divenuta Santa – l’Istituto delle Suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue detto anche delle “Suore Adoratrici del Sangue di Cristo”. La congregazione di Missionari da lui fondata ha missioni attive soprattutto in India e Tanzania.
Oggi è proprio la statua in bronzo che raffigura San Gaspare, accanto a due lecci secolari, ad accogliere i pellegrini e i turisti che, spesso casualmente, arrivano all’Abbazia di San Felice.
Antonio Rutili Gentili (Ingegnere, 1799-1850)
Nacque a Giano dell’Umbria, probabilmente il 26 aprile del 1799 nella località Palombaro; poco si sa del padre, originario di Massa Martana, la madre invece apparteneva alla benestante locale Casata dei Rotilj. Ancora fanciullo, imparò la matematica da autodidatta; venne portato a Foligno dallo zio materno, ricco possidente e gioielliere, Vincenzo Gentili, che lo fece erede del suo nome e del suo patrimonio. Si spiega quindi il doppio cognome: Rutili-Gentili. Frequentò le scuole a Foligno dove si appassionò di scienze matematiche. Accanto agli studi matematici e alle pubblicazioni in vari campi, affiancò l’interesse politico. Nel 1831, infatti, scoppiati nello Stato Pontificio i primi moti politici per l’indipendenza d’Italia, Antonio aderì alle nuove correnti liberali. Le sue prime pubblicazioni riguardano lavori relativi al territorio umbro, spesso commissionati da conoscenti locali, e risalgono agli anni ‘20 del 1800. Dopo i primi successi professionali Antonio si trasferì a Roma per diventare ingegnere, pubblicando poi due ricerche relative al sistema idrico della città. Tornato a Foligno si interessò di terremoti, in particolare di quello avvenuto recentemente, nel 1832, che aveva devastato molte città della valle umbra. Si occupò poi delle rovinose piene del fiume Topino, alle quali Foligno era soggetta da diverso tempo, in particolare si ricorda l’inondazione del 1836 che provocò un vero disastro, fu quindi nominato Vice Prefettore delle acque di Foligno e si mise subito all’opera per trovare una rapida soluzione del problema, pubblicando vari studi a riguardo relativi ad una vera e propria bonifica del corso fluviale con il relativo rifacimento dei vari argini. L’imponente opera fu messa in atto tra il 1844-57. Purtroppo Antonio non riuscì a vedere compiuta l’opera perché morì nel 1850. Sempre in riferimento ad opere di tipo idraulico si occupò anche della bonifico del piano di Ricciano e del lago di Colfiorito, promosse inoltre la sistemazione idraulica della Valle Umbra del fiume Chiascio. Negli anni ’40 si occupò anche della Strada Ferrata che doveva collegare Foligno alle Marche, parte dell’imponente progetto delle 4 linee ferrate da costruirsi nello Stato Pontifico. Il suo progetto, criticato dagli altri ingegneri romani e perugini, fu invece accettato dalla Società Nazionale per le Strade ferrate nello Stato Pontificio e ritenuto come il migliore. Gli vennero affidati anche diversi lavori da parte del Comune di Giano, in particolare un progetto per la raccolta delle acque delle varie sorgenti montane in un unico serbatoio ubicato nel castello, opera che avrebbe risolto il secolare problema dell’approvigionamento idrico a Giano; purtroppo mai messa in pratica a causa delle poche risorse finanziare del Comune. Ci dicono le fonti inoltre che il Rutili fu un uomo dai molti interessi, dalla cultura poliedrica; si interessò infatti non solo di matematica ed idraulica, ma anche di meccanica, astronomia, geologia, disegno, scultura, musica e letteratura: insomma uno studioso e amante delle arti. A queste doti si aggiunse anche la predisposizione per la poesia. Fu inoltre un marito e padre premuroso, molto devoto, come viene messo in risalto dalle sue biografie. Il Rutili per la sua bravura, professionalità e competenza era riuscito a guadagnarsi la stima di molte persone, soprattutto dei folignati che, nel 1848, in seguito alla concessione da parte di Pio IX dello Statuto fondamentale per il Governo temporale degli Stati di Santa Chiesa, lo elessero Deputato alla Camera per il Distretto della Città. Morì a Roma il 18 febbraio 1850, dove si era trasferito negli ultimi anni, profondamente addolorato delle ultime vicende politiche relative al contrasto tra la fede religiosa e l’amor di patria. La notizia della morte dell’illustre ingegnere si propagò in tutta l’Umbria, il suo corpo fu sepolto nel cimitero del Verano a Roma, varie però furono le cerimonie che si svolsero in suo onore sia a Foligno, sia nel suo paese natale. Sulla facciata della casa dove visse il Rutili a Foligno venne apposta una dedica che ancora oggi lo ricorda. Diversi anni dopo venne organizzata il trasferimento della salma da Roma a Foligno e come ci riferiscono le fonti, probabilmente nessun folignate aveva mai ricevuto una così solenne commemorazione. Il suo corpo oggi riposa nel cimitero della città a Santa Maria in Campis.
Numerose sono le sue pubblicazioni:
- Analitiche sui poligoni regolari, Fuligno, Tip. Tomassini, 1831
- Ricerche analitiche sull’intensità del lume e sulle ombre, Fuligno, Tip. Tomassini, 1831
- Notizie dei terremoti di Fuligno e riflessioni sulle cause naturali dei medesimi, Fuligno, Tip. Tomassini, 1832.
- Nuove riflessioni sulle cause naturali dei terremoti di Fuligno, Fuligno, Tip. Tomassini, 1832.
- Principii di analisi censuale ossiano Vedute fondamentali sull’arte di rediger le stime pei pubblici censimenti … di Antonio Rutili-Gentili ex membro della giunta di revisione del nuovo_estimo, Foligno, tip. Tomassini, 1839.
- Proposta di un nuovo sistema di strade ferrate a propulsione idraulica dell’ingegnere Antonio Rutili Gentili, Fuligno, Tip. Tomassini, 1846
- Idea sul migliore andamento di una strada ferrata dall’Adriatico al Mediterraneo, dell’ingegnere Antonio Rutili Gentili Fulignate membro della Giunta di Revisione del censo, s.l., s.n., 1846
Gioacchino Pompili (Medico, 1810-1909)
Nacque a Macciano il 10 gennaio 1810, dopo aver frequentato le scuole elementari locali si trasferì a Spoleto al Seminario diocesano, poi al Collegio dei Gesuiti studiando retorica e filosofia. Decise poi di seguire la sua vocazione di diventare medico e si spostò a Roma per iscriversi alla Facoltà di Medicina, conseguendo la laurea nel 1834 e facendo poi tirocinio presso l’Università di Pisa, Bologna e Parma. Nel 1837 lo troviamo di nuovo a Spoleto per esercitare la libera professione. Interessante e precoce per l’epoca, la sua specializzazione in omeopatia che fece seguito allo studio delle dottrine del famoso Prof. Hahnemann, fondatore della nuova medicina. Alla scienza medica affiancò anche la vocazione per la letteratura pubblicando numerosi scritti e diventando socio dell’Accademia Spoletina. Raggiunse una certa fama come omeopata e decise di trasferirsi a Roma, il cui clima politico era particolarmente agitato per l’elezione di Papa Pio IX, già arcivescovo di Spoleto, considerato un liberale. L’amicizia con importanti personaggi aveva infiammato l’animo del nostro medico che voleva una patria libera ed unita; si dedicò quindi anche alla politica, costretto poi a rifugiarsi nel suo paese natale dopo il ripristino del potere temporale della Chiesa nel 1849; qui ospitò diversi patrioti e sospettato, rischiò di essere condannato ed arrestato. Passato il clima teso di quegli anni continuò ad esercitare a Spoleto, ogni giorno davanti alla sua dimora si presentavano molti pazienti che spesso non avevano soldi e “pagavano la visita in natura, con uova, funghi…asparagi, doni che il medico però dava indietro dicendo che li dovevano conservare per i propri bambini e anziani”, mostrando quindi una grande bontà d’animo. Nel 1855 fondò la Rivista omeopatica, diretta da lui fino alla morte, si prodigò poi a Spoleto nella cura dei malati di colera. Riuscì dopo 10 anni a tornare a Roma dove esercitò la professione di medico nei mesi invernali per spostarsi in estate di nuovo a Spoleto. Con l’avvento dell’Unità d’Italia il Pompili ottenne i meritati onori. L’amore per la sua terra lo indusse ad accettare la nomina di Consigliere Comunale del Comune di Giano. Dalla sua biografia emerge anche una personalità ed una figura originale: “ era un uomo elegante, gli occhi chiari, i capelli candidi ben distribuiti sul cranio e arricciati sopra le orecchie. Aveva vestiti di ottima stoffa e di buon taglio, la bombetta grigio -scura, la catena d’oro al panciotto…portava sempre la cravatta a fiocchetto; camminava spedito anche a novant’anni…..”. Gioacchino morì il 19 marzo del 1902 a Roma.
Lorenzo Mattei
Lorenzo figlio di Domenico il quale, fervido sostenitore dell’Unità d’Italia e della causa di Roma capitale, nel 1867, a soli 19 anni, si arruolò come volontario
nell’esercito garibaldino unendosi al gruppo di Terni dove conobbe personalmente Garibaldi. Il 25 ottobre 1867 partecipò alla battaglia di Monterotondo poi a quella più famosa di Mentana, cittadina distante 24 chilometri da Roma lungo la Via Nomentana, per la conquista di Roma. Quest’ultimo evento bellico si svolse il 3 novembre 1867 dalle ore 12,30 alle 17,04; l’esercito franco-pontifìcio era composto da 10.000 soldati, quello garibaldino da 5000. È bene precisare che il numero dei soldati dei due eserciti è indicativo per le molteplici contrastanti versioni circa la rispettiva entità numerica. Alla fine del violento scontro militare, vinto dall’esercito franco-pontifìcio, si contarono sul campo di battaglia 180 morti, di cui 150 garibaldini e 30 dell’esercito franco-pontifìcio, 220 i feriti gravi. Il giorno successivo tutti i morti, fra cui il giovane Lorenzo Mattei, furono raccolti e chiusi insieme in una sola tomba comune. Nel 1876 i “Reduci delle Patrie Battaglie Garibaldine”, meglio conosciuti come “Reduci della Campagna dell’Agro Romano per la liberazione di Roma”, proposero di costruire a Mentana, nell’Altura dei Pagliai presso la Rocca, vale a dire nell’area dove si era svolto il più cruento scontro tra i due eserciti, un’ara-ossario in onore dei garibaldini caduti in battaglia. Il monumento, alto 10 metri, progettato dall’ing. Augusto Fallani, fu costruito in blocchi di peperino scuro di Viterbo ed ufficialmente inaugurato il 25 novembre 1877. Nell’ossario furono tumulati i resti mortali dei soldati, all’uopo esumati dalla primaria sepoltura, unitamente a quelli delle altre battaglie della Campagna dell’Agro Romano. Sui quattro lati della base del monumento sono scolpiti i nomi di tutti i garibaldini morti in battaglia, tra cui quello di Lorenzo Mattei. Il 23 settembre 1923 i montecchiesi, volendo degnamente ricordare sia il giovane Lorenzo Mattei sia gli altri 8 caduti nella prima guerra mondiale, inaugurarono una lapide murata sulla parete ovest dell’antico palazzo comunale ove ogni anno, per interessamento del Comune, in occasione della commemorazione dei caduti delle due guerre mondiali, viene deposta una corona. Nella lapide si legge quanto segue:
QUESTA PATRIOTTICA TERRA CHE PER LA REDENZIONE D’ITALIA GIÀ IMMOLÒ NEL 1867 A MENTANA ARDENTE GIOVINETTO VOLONTARIO LORENZO MATTEI VUOLE A PERENNE OMAGGIO RICORDATI GLI ALTRI ELETTI SUOI FIGLI CHE NELL’ULTIMA GRANDE GUERRA CONTRO L’AUSTRIACO PERIRONO
- ANTONINI RANIERO
- BACIUCCO ANNIBALE
- CIRILLI ANTONIO
- DOMINICI ALFREDO
- DOMINICI GIUSEPPE
- FAUSTI ERNESTO
- TARDIOLI EMILIO
- VITTORI DOMENICO
MONTECCHIO 23 SETTEMBRE 1923